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Patrono degli alpigiani, dei casari e dei formaggiai

San Lucio di Cavargna

Storia del santo protettore dell'arte casearia

di Pierfranco Mastalli (pierfrancomastalli@libero.it)

Premessa

Questa riflessione parte dalla descrizione del culto di alcuni significativi santi venerati nella regione insubrica, per coglierne alcune caratteristiche antropologiche, ecologiche ed identitarie, attraverso l’analisi di una delle tante tessere del complesso mosaico del nostro ecosistema e tenendo presente l’imprescindibile nesso fra le pratiche devozionali  e le condizioni di vita delle popolazioni interessate.

L’iconografia ed il significato mistico ed allegorico collegati ad un determinato santo ci possono dare un affresco sulle condizioni dell’ecosistema  in cui la comunità umana insubrica  si è trovata a convivere e a radicarsi nella propria identità culturale.

Nello stesso tempo diventa importante verificare se ai nostri giorni le pratiche devozionali tradizionali si manifestino genuine, profondamente sentite nella quotidianità del vissuto e quindi in simbiosi con l’ambiente del luogo oppure rappresentino una formale rappresentazione esteriore.

Esaminando alcune figure di santi venerati nell’Insubria, possiamo già farne una selezione attraverso la peculiarità delle rispettive protezioni e la significativa presenza di luoghi di culto con rappresentazioni iconografiche ben individuabili per la loro caratterizzazione.

In questa nostra regione dei laghi e delle valli colleganti i territori a nord e a sud delle Alpi Lepontine, la devozione verso taluni santi  sono la logica conseguenza del rapporto con l’orografia, l’ambiente naturale e le pratiche della pastorizia.

Ci limitiamo quindi a parlare prima di quei santi che hanno dato nome a passi, chiese, oratori, località lungo le vie di comunicazione, poi di san Lucio legato alle attività negli alpeggi.

La nostra regione è caratterizzata, oltre che dai laghi, da innumerevoli collegamenti intervallivi, vere arterie vitali per gli scambi culturali, commerciali, per le emigrazioni e le attività legate alla montagna e al suo governo: regione quindi di grandi scambi,traffici,passaggi anche devastanti, ma sempre mantenutasi legata alle tradizionali culture nelle sue diverse accezioni, in quanto la comunità umana è rimasta fin’ora legata e parte creativa di un rapporto bivalente con l’ecosistema.

Fin quanto si manterrà questa simbiosi pur nelle mutate condizioni di vita, è l’interrogativo che ci poniamo. Una risposta possibile e utile dovrebbe essere il ricercare attraverso la condivisione della forza ispiratrice del “genius loci” insubrico

il superamento delle divisioni amministrative e delle tendenze isolazioniste e di chiusura, alle quali spesso si è tentati di ricorrere in presenza di emergenti difficoltà.

I santi che qui ricordiamo nella loro tradizionale protezione verso i viandanti, i pellegrini, i diversi nei loro perigliosi trasferimenti alla ricerca di lavoro o di nuove esperienze hanno diversa provenienza ma identica presenza evocativa.

Si va da S. Jorio, poco noto in generale ma ben conosciuto nelle valli che dall’Alto Lario occidentale (Dongo e Gravedona) si collegano al Ticino (Giubiasco e Bellinzona) ed ai Grigioni italiani (Roveredo) attraverso l’omonimo passo, frequentato sin dall’antichità da ogni tipo di viaggiatore e nel periodo a cavallo dell’ultima guerra da nutriti gruppi di contrabbandieri, contrastati dalle guardie ora svizzere ora italiane a secondo dei periodi e delle leggi in vigore, ma sempre guardati con favore dalle popolazioni di confine, il  quale, come elemento artificioso, costituisce la vera causa del fenomeno di trasgressione.

Al passo di S. Jorio, un omonimo alpestre oratorio è meta di un pellegrinaggio per la tradizionale festa alla prima domenica di agosto, in occasione di un incontro popolare in quel meraviglioso scenario ambientale, dove ancora si pratica in entrambi i versanti l’antica attività dell’alpeggio, con la produzione di formaggio di qualità.

S. Jorio è un personaggio leggendario, di cui non si conoscono origine e vita: il suo culto è molto circoscritto, a differenza dell’altro santo protettore  dei viandanti, S.Cristoforo, venerato anche in aree geografiche lontane da qui. La leggendaria vicenda di quest’ultimo santo trae origine dal suo nome, mentre le uniche notizie certe sono la morte documentata in Asia Minore ed il culto attestato nel secolo V.

Si tratta quindi, come si direbbe oggi, di un “extracomunitario” che da noi ha trovato credito   tanto che non c’è luogo lungo i percorsi storici, in montagna (Livo), nelle valli (in Ticino a S.Antonio in valle Morobbia, a Giubiasco e a Bellinzona, nei Grigioni in Valle Mesolcina a Mesocco) o sui laghi (a Gravedona in Santa Maria del Tiglio ed a Ossuccio nella chiesa dei SS:Giacomo e Filippo davanti all’Isola Comacina) dove non ci sia una chiesa o un affresco che ci ricordi S.Cristoforo.

La sua rappresentazione iconografica potrebbe spingerci anche a considerarlo il protettore dei contrabbandieri.

Diversa è la figura e l’origine del culto di S.Gottardo, taumaturgico vescovo benedettino venuto dal Nord (Ildesheim) e vissuto negli anni intorno al mille. Egli è il patrono dei mercanti, dei febbricitanti e anche dei viandanti.

Oltre al famoso passo   nell’alta valle del Ticino, ricordiamo le chiese a lui dedicate nella valle fra Bellinzona e l’Alto Lario Occidentale, a significare e testimoniare un intenso traffico di passeggeri e merci fra i due versanti, lungo un percorso che per i tedeschi che scendevano dal Nord passando per Bellinzona era individuato nel Seicento come la “Gravedonerstrasse”.

La presenza in queste valli di un santo protettore dei mercanti ci rimanda anche alle tradizionali fiere e mercati che si svolgevano in questi luoghi, occasione di scambi commerciali e culturali.

Dopo questa prima veloce carrellata, ci soffermiamo ora  con più dettagliate descrizioni su S.Lucio, che a nostro giudizio rappresenta una  sintesi di  tradizioni di lavoro,  professionalità,  fede e  solidarietà un tempo tipiche nella cultura radicata nella maggioranza della  popolazione, ben riassunte nella vita di questo alpigiano e casaro, ucciso perché generoso ed accogliente verso i poveri, i deboli e gli emarginati.

Storia – Tradizioni – Iconografia – Culto – Presenza

Sorge al passo di San Lucio, ai confini fra la Val Cavargna e la ticinese Val Colla, un caratteristico oratorio dedicato a questo stesso santo martire, che qui visse probabilmente nella prima metà del Trecento; la chiesetta, ubicata a 1548 metri di altitudine e sottoposta alla parrocchia di Cavargna in diocesi di Milano, è costituita da una semplice navata formata da un nucleo medievale, cui si aggiunse nel Quattrocento la campata iniziale, nel Seicento il presbiterio e avanti il 1777 il profondo portico occidentale. Il luogo alpestre è noto non solo per la festa del santo che ricorre il 12 luglio, ma pure per il grande concorso di italiani e svizzeri il 16 agosto, data in cui  dal sec. XIX si abbina l’omaggio a San Rocco cui è dedicata una cappella laterale successivamente inclusa nell’edificio: nel 2002, in occasione dell’inaugurazione dei restauri, vi salì anche il cardinal Carlo Maria Martini con il vicario episcopale Giuseppe Merisi, poiché Cavargna e Porlezza sono parte della zona pastorale di Lecco.

Secondo le osservazioni di Luigi Mario Belloni, la chiesetta, accostata da una consistente torre campanaria, ha qualche resto medievale ed occupa probabilmente il posto di un piccolo luogo cultuale ben più antico, come spesso avveniva per i passi alpini: ne sarebbero una conferma sia parte di murature in grossi conci lapidei squadrati, sia una macina interrata presso l’ingresso, sia ancora un ossuario in marmo di Musso, romano o tardoromano, che serve da acquasantiera.

Lucio è un santo locale, distinto nelle visite pastorali diocesane dal 1567 in avanti con nomi diversi, Luguzzone, Laguzzone, Luzzone, Uguzo, Uguccione, trascrizioni della parlata montana, che ha caratteristiche particolarissime nel dialetto detto “rungin”. Proprio per questo egli venne nel tempo confuso con altri santi dal nome simile, venerati in più parti dell’Italia settentrionale e centrale, ed in particolare con il San Lucio, festeggiato il 3 dicembre, principale patrono della città di Coira, che fu vescovo e martire e visse al Luziensteig (Cantone Grigioni) intorno al 200 d.C.; egli è   venerato in modo particolare nelle valli cattoliche dei Grigioni italiano (Mesolcina e Calanca) le cui chiese ne conservano dipinti interessanti. Nelle nostre zone è ricordato ad Ardenno Masino (Sondrio) nella chiesetta della frazione S. Lucio, dove si può osservare una tela con S. Lucio vescovo di Coira,  considerato dalla popolazione locale come protettore dei casari, alpigiani e formaggiai, probabilmente appunto per contaminazione fra i due personaggi.

La diffusione in area cattolica di un culto verso un santo protettore di pastori, alpigiani, casari e della vista potrebbe far pensare ad una riappropriazione  nelle pratiche religiose di una venerazione per  una simile divinità pagana presente nelle Alpi.

Un mandriano martire della carità

Di questo santo ben poco si conosce. Egli visse certamente fra il secolo XIII e il XIV, poiché Goffredo da Bussero, nelle memorie stese intorno al 1290 relativamente ai santi venerati nella diocesi, non ricorda questa dedicazione, mentre nel 1359 Lucio era già indicato come santo quando nella chiesa “sancti Laguzoni de Cavargna plebatus Porlezie” risiedeva come custode un eremita, Viola, che veniva allora indagato dal podestà locale con l’accusa di aver derubato e ucciso un pellegrino.

Il posto era certo famoso, perché Benedetto Giovio lo incluse nel poemetto “Sylvae –De tribus divis monticulis Donato, Lugutione et Aemilio” stampato a Como nel 1545, ma le scarne notizie sul personaggio si ricavano dagli atti delle visite a partire dai tempi di S. Carlo, il quale salì sul monte per ben due volte –una sicuramente nel 1582- a venerare l’umile mandriano. Nel 1567 il delegato del Borromeo, trovando nella chiesa numerosi ex voto e delle antiche scene dipinte della vita del santo, raccolse pure dalle parole del custode Antonio Domenegali della consuetudine antica di giungere ivi processionalmente dai paesi vicini a cantare messa, in feste che contemplavano pure balli e tripudi, a volte sfociati in sanguinose risse. Narrava la tradizione che il beato Laguzone era un mandriano di un certo Annibale Toffo; egli pascolava i suoi armenti e produceva il formaggio per il padrone, che gliene lasciava la metà; con questa Lucio preparava altro formaggio che distribuiva ai poveri, cioè con ogni probabilità ricavava due volte formaggio dalla stessa casatura, ossia cacio e ricotta. Il giovane fu ucciso da un sicario inviato dal suo padrone, che credeva di essere derubato, ma forse anche per invidiosa malignità perché donava i suoi magri risparmi ed il formaggio, eccedente la normale resa, ai poveri. Il martirio si consumò sulla riva del laghetto, forse nel luogo dove venne poi eretta a ricordo la cappella di S. Luzonino, mentre il corpo venne deposto nella chiesa che probabilmente preesisteva con altro titolo in seguito obliato, presumibilmente quel S. Nabore di Cavargna ricordato da Goffredo da Bussero. Il laghetto assumeva, nella festa, una colorazione rossa di sangue; intorno ad esso si facevano processioni con i sacerdoti dei paesi e i fedeli raccoglievano acqua per guarire le malattie degli occhi. Il laghetto rosseggiante si osserva in diverse raffigurazioni, come in quella dipinta nel 1628 a Tavordo presso Porlezza oppure nell’affresco di Loggio di Valsolda.

Ecco perché una delle più antiche raffigurazioni del beato lo propone in atto di far la carità a un bimbo vestito poveramente e cieco, che alza le braccia verso il giovane barbuto munito di un grande cappello: si tratta di un ex voto dipinto a fianco del ciborio di San Pietro al Monte di Civate, dove il santo compare accanto a Pietro, Paolo e Tommaso, che attorniano il trono della Vergine col Bambino; è un dipinto che viene attribuito agli ultimi anni del sec. XV  al pittore Tomaso Malacrida , autore di varie opere a Valmadrera e Oggiono IN PROVINCIA DI Lecco.

Il Giulini, sulla scorta del Bascapè, riferisce che “Egli si vede dipinto in abito pastorale in atto di distribuire del cacio ai poveri; perché credesi che a ragione delle sue limosine sia stato ucciso con un coltello dal padrone, il quale dubitava che il Santo gli rubasse per fare carità”. Questa è la scena del dipinto ad olio su due tavole di rame, che viene descritto come di “egregio pennello” nel 1682 dalla visita del cardinal Federico Visconti; il santo è in abiti da pastore e sta sfamando una povera famigliola e nello sfondo si intravede uno stagno.

Lo Stueckelberg nel 1912 riconobbe altre forme rappresentative fra i superstiti affreschi dell’oratorio rintracciabili in specie nella prima campata: il santo in compagnia di poveri oppure in orazione davanti al Crocifisso, ed ancora fra due uomini, uno cieco e uno zoppo, inginocchiati; nel 1606 vi era anche sulla volta il martirio. Alcuni di questi dipinti, attribuibili ai primi decenni del Cinquecento, sono riapparsi di recente, e comprendono altri santi venerati nella zona e una Madonna della Misericordia. Più rare le rappresentazioni del martirio, diffuse però nel Seicento nella Bergamasca.

Solitamente invece la sua figura è stante, un giovane con barba, abito con pellegrina e cappello a tesa; tiene il cacio tondo nella sinistra e il coltello nella destra. E’ di fatto lo stesso modulo della antica statua, osservata sull’altare nel 1606 dal Borromeo e considerata quattrocentesca, da poco restaurata.

L’oratorio di San Lucio all’omonimo passo in Val Cavargna in occasione della Festa di San Lucio in agosto (foto Pierfranco Mastalli)

La diffusione del culto al patrono degli alpigiani e casari

Sempre lo Stueckelberg ha recensito le rappresentazioni del santo presenti in abbondanza nell’area di Porlezza e del Canton Ticino, ma pure altrove, rintracciandolo in una cinquantina di località dell’Italia settentrionale e in specie nelle diocesi di Lugano, Como, Bergamo, Milano, Pavia, Lodi, Cremona. Egli utilizzò come prima fonte scritta il catalogo dei Santi del Ferrari edito nel 1613 a Milano, nutrito di spunti orali, che anche il cardinal Federico Borromeo aveva annotato, commentando che le “notizie ci pervengono dalla tradizione orale perché non fu mai scritta una storia canonicamente approvata della sua vita”.

Da un anonimo opuscolo edito a Bergamo nel 1700 dal titolo “Vita di S.Lucio Martire” apprendiamo poi  che ”Egli è protettore della città di Lodi e di tutta la sua Diocesi. Nella città di Milano, nella chiesa dei SS.Cosma e Damiano si consacrano ogni anno 2 giorni del mese di Luglio alle glorie del Santo dalla pietà dei signori Salsamentari… Fiorisce infine in altri più luoghi la lodata devozione a S.Lucio: a Monza, nella Diocesi di Bergamo nella valle Seriana superiore (Monte Pianone della terra di Cluzone), a Pavia e anche nella Diocesi di Cremona nella Parrocchia di Pieve Delmona….”. In realtà l’estensore soggiace a qualche esagerazione, poiché S. Lucio non è certo patrono di Lodi. Ma questa nota è interessante perché gli studi più recenti, promossi dalla Associazione Amici di Cavargna, hanno confermato che Lucio, col nome di Uguzzone, nel 1627 veniva assunto come protettore del paratico dei formaggiai nello statuto confermato dal senato milanese nel 1661, nei tempi stessi del gruppo simile di Codogno.

Secondo don Palestra la diffusione del culto a largo raggio sarebbe da imputare alla diaspora dei cavargnoni, che peregrinavano come stagnini, magnani e soldati e questo dovrebbe essere l’elemento prevalente rispetto alla motivazione della transumanza di armenti. Certo occorrerebbe di volta in volta realizzare una precisa disamina del culto zona per zona, tenendo pure presente che don Rimoldi rintraccia ben 22 santi con lo stesso nome variante fra Lucio e Uguccione. Ma è già significativo osservare che il culto, nelle realtà di pianura, pare strettamente collegato con le corporazioni di casari, formaggiai, salsamentari e affini. Così a Brescia si ha nel 1675 il suo patronato per il paratico dei formaggiai con un altare nella chiesa di S. Giuseppe; a Pavia si ebbe nel 1624 la dedicazione di una cappella a S. Uguzzone in S. Tomaso da parte del Collegio dei mercanti di formaggi; addirittura Lucio divenne nel Seicento a Parma il patrono dell’arte dei Lardaroli, circa nel 1612 quando l’Abate della corporazione ottenne la “denominazione d’origine” del parmigiano. Anche a Milano, già nel 1598 Paolo Morigi lo afferma patrono dei Cervellari nella basilica di S. Nazaro Maggiore e nel Duomo si conserva una importante statua in marmo di S. Uguccione, il nostro S. Lucio, scolpita nel 1687 da Carlo Pagano. Nel 1835 in città, grande centro commerciale di prodotti caseari, venne a formarsi in S. Bernardino alle Ossa un Pio Consorzio di San Lucio Martire, che commissionò al pittore Ignazio Manzoni nel 1845 un grande dipinto ad olio, da cui fu ricavata una splendida stampa della Raccolta Bertarelli: una scena animata che ripropone il santo nella sua opera di carità verso i poveri. A Bergamo infine la venerazione per S. Lucio si trova nella chiesa della vicinia di S. Pancrazio, la cui piazza era il centro del mercato dei formaggi: ivi si trova una tela di Marcantonio Cesareo della metà del Seicento che ritrae Lucio e Lucia in una Deposizione di Cristo; inoltre una incisione popolare del tardo Settecento lo afferma come patrono dei Grassinari di Bergamo.

Non possiamo sapere con esattezza il perché di questa diffusione del patronato di S. Lucio verificabile nei principali centri caseari e commerciali nel corso del sec. XVII. Potrebbe essere illuminante il fatto che a Pieve Delmona di Gadesco nel cremonese nel 1719 un Francesco Alché oriundo di Cavargna acquisiva delle terre per impiantarvi la cascina Guzzafame decorandola con l’immagine di S. Lucio; una terribile epizoozia fermata, si credette, dal santo, fu all’origine del trasporto del dipinto nel 1747 nella parrocchiale, creandosi una particolarissima e radicata venerazione. Può essere quindi avvenuto qualcosa di simile per le altre città, dove abitanti provenienti dalla Val Cavargna, trasferendo allevamenti o commerciando formaggi, in zone a specifica vocazione, avrebbero importato e diffuso il nome di un santo che proprio per l’attività pastorale e casearia era stato martirizzato.

E’ probabile invece che la diffusione del culto nel Ticino, nel bacino lariano, nell’area di Verbania, di Crodo e nell’Ossola, già attestato fra XV e XVI secolo, dipenda dalle direttrici di pascolo e traffico alpino in collegamento con gli alpeggi della Cavargna; qui prevale la figura del mandriano, rappresentato ad esempio nel 1652 nell’oratorio di S. Luguzzone martire a Pizzanco presso Bognanco: e qui esiste un olio della Madonna delle Grazie fra i santi Uguccione e Lorenzo attribuito ad Aloisio Reali, il noto pittore che in quel torno di tempo dipinse numerose tele per le chiese della Valsassina.

Come pastore Lucio si presenta anche in Alta Val Seriana, ad esempio a Valgoglio, territorio connotato da grande allevamento, ma sul finire del Settecento e non possiamo sapere se in relazione ad eventuali rapporti con mandriani cavargnoni oppure attraverso l’ambulantato degli stagnini e magnani della valle comasca. Il culto nelle valli bergamasche è comunque certo antico, ed anzi a Clusone, nel santuario del monte Pianone, Lucio con Rocco e Lucia compare nella bellissima tela del Carpinoni quale intercessore della città contro la peste del 1630.

Fra l’altro, l’interpretazione dell’antico nome latinizzato in Lucio, spiega non solo l’accostamento a Lucia ma pure le non poche raffigurazioni ticinesi e lariane in cui si venera anche come protettore della vista: a Semione nella Valle di Blenio, nella piccola cappella dei Morti, Luguzzon è effigiato come pastore nel sec. XV dalla bottega dei da Seregno, ma i suoi occhi sono del tutto abrasi, probabilmente, crediamo, per l’uso di asportare polvere da mescolare in bevande per la cura della vista.

La documentazione iconografica dal Ticino all’Alta Brianza

La sua venerazione e quindi la rappresentazione iconografica originaria o più antica è presente in quasi tutto il Cantone Ticino (Luganese, Valle Leventina, Valle di Blenio verso il Lucomagno, Locarnese, ecc.) proprio perché il culto aveva trovato un canale di diffusione in località e vallate interessate dalla pratica dell’alpeggio e della transumanza: nella cattedrale di Lugano il santo figura in un dipinto con una data dubbia, che è stata letta come 1279, ma che dovrebbe essere 1335: sarebbe comunque la più antica fra le testimonianze pittoriche.

Il territorio nel quale il culto si è diffuso in tempi più lontani, da Cavargna all’Alto Lario, al Ticino e al Novarese, e dove è ancora praticato, corrisponde di fatto a quella che oggi è chiamata “Regio Insubrica”, per cui non è azzardato proporne come patrono il nostro S. Lucio, a testimonianza anche di antiche comuni culture e tradizioni nell’attività della pastorizia e dell’alpeggio.

Quanto alla presenza di S. Lucio fra i tipici protettori dell’ambiente rurale, come il diffusissimo S. Antonio, nei territori della Bassa milanese,bergamasca, lodigiana o cremonese, può essere che ciò derivi dall’emigrazione dei “Bergamini” o “Malghesi” che a settembre scendevano dai pascoli e dagli alpeggi delle Orobie con il bestiame per andare a svernare in pianura, oppure dallo stanziamento dei mandriani che avrebbero importato il loro santo degli animali e dei formaggi. Fra l’altro si tratta di zone che proprio ai mandriani alpini devono l’origine delle prime industrie lattiero-casearie, soprattutto attraverso famiglie provenienti dalla Valsassina e valli confinanti, dalle quali i rapporti già piuttosto ampi nel sec. XVII erano certo più facili che con i pascoli di Cavargna. Tipico è l’esempio di Pagazzano (Bg) dove una famiglia Arrigoni proveniente da Vedeseta (Bg) in Val Taleggio ha  avviato un caseificio e possiede  anche una tela dei primi del 900,con San Lucio rappresentato in una scena familiare intento a produrre il formaggio. A Pagazzano inoltre, nella chiesa dei SS. Francesco Saverio e Lucio troviamo una tela fine 600 dove il santo è rappresentato in modo insolito, inginocchiato sopra una forma di formaggio, in uno scenario di pianura con castello.

In valle Taleggio (Bg) a Cantiglio (m.1084 slm), piccolo borgo montano in comune di Taleggio , nella chiesetta di San Lucio un affresco nella parete di fondo del presbiterio raffigura la scena dell’uccisione del Santo ad opera del rivale invidioso, con una rappresentazione che si discosta dalla tradizionale iconografia.

E’ significativo che dal 2001, nell’ambito della annuale mostra zootecnica delle Comunità Montane della Provincia di Como che si svolge a Porlezza in ottobre, si tenga un concorso per formaggi di alpe intitolato a S. Lucio, con assegnazione di diplomi riproducenti  l’affresco del santo presente su un edificio in frazione Tavordo di Porlezza.

A Pandino (CR) è stato istituito un Concorso caseario con Trofeo S.Lucio.

Interessante è anche notare come sul sito dei Musei del cibo della Provincia di Parma si trovi una descrizione dettagliata del santo in esame, le chiese, il culto e l’iconografia (con ben 63 riproduzione in diverse località) ricavata dalla pubblicazione curata dall’Associazione Amici di Cavargna, i quali hanno raccolto la descrizione delle presenze del culto e dell’iconografia del santo nelle diverse località di qua e di là delle Alpi, con contributi aggiuntivi da parte di ricercatori.

La bellezza del paesaggio al valico ed il mistero sulle origini di questo oratorio montano, che potrebbe essere stato ricostruito su un luogo di culto pagano lungo un importante percorso di comunicazioni intervallive, accrescono il fascino della devozione ad un Santo, tanto sconosciuto e minore quanto amato da chi lo avvicina e ne coglie gli originali ed intrinseci messaggi.

Nell’area lariana S. Lucio è effigiato nel battistero di S. Maria del Tiglio a Gravedona, in un affresco di tipologia semplificata risalente alla seconda metà del Quattrocento; Gravedona ebbe sempre molti scambi con la Val Cavargna, sia per gli alpeggi che per i commerci, favoriti nelle grandi fiere soprattutto di bestiame, che si tenevano in primavera il giorno di S. Marco, in estate per S. Maria Maddalena, in autunno alla chiesa dei Santi Gusmeo e Matteo ed in inverno il dì di S. Antonio abate. Si può aggiungere che, in ulteriori ricognizioni, abbiamo individuato altre immagini a Loggio (affresco su edificio) e a Muzzaglio (nell’oratorio di S.Rocco) in Valsolda, in San Martino di Treviglio,  una statua lignea  nella chiesa di Santa Marta a Porlezza, un medaglione con storia di San Lucio con “culdera” nella cappella di S. Antonio Abate (dove è affrescato il martirio e fa bella mostra una statua del “nostro”) nella chiesa di S.Maria Assunta a Puria di Valsolda , una cappella di S. Lucio nel santuario di S. Patrizio di Colzate in Val Seriana, una tela con San Lucio, S.Antonio Abate e S.Primo nella chiesa di S. Antonio Abate a Casate di Bellagio (C0).

Nel Territorio di Lecco la più conosciuta presenza iconografica di S. Lucio è quella del ricordato affresco attribuito a Tomaso Malacrida nella basilica di S. Pietro al Monte di Civate, connotata dall’attributo di protettore della vista. Ma abbiamo rintracciato un altro antico affresco quasi illeggibile nella chiesa cimiteriale di S. Pietro a Barni in Valassina, mentre di quello già visibile nell’oratorio di S. Rocco a Castelmarte resta solo la sinopia, poiché il dipinto è stato asportato. Sopra Abbadia Lariana troviamo in località S. Lucio dominante il lago una cappelletta ora ripristinata ma priva della immagine antica: da una testimonianza raccolta sappiamo che fino agli anni Settanta si poteva osservare un affresco dei sec. XVII-XVIII con una Madonna alla cui sinistra S. Lucio  offriva il formaggio ai bambini: a poche decine di metri a valle nella conca di Navegno venne in luce una piccola necropoli tardoromana. Queste ultime immagini potrebbe essere collegate agli alpeggi e alle casere di quei contorni.

Come si può notare, mancano notizie sulla presenza del culto di S. Lucio nei territori montani della Val  Varrone  e della Valsassina, dove l’attività  negli alpeggi  e nella produzione del formaggio è sempre stata intensa e in contatto con la pianura: ma si deve sottolineare che le direttrici della transumanza si indirizzavano verso la pianura piemontese e lombarda dove il culto di S. Lucio era già “sentito” e consolidato, probabilmente, come si è detto, a motivo dei preesistenti insediamenti di abitanti di Cavargna. A Morterone ,comune alle pendici del Resegone in provincia di Lecco confinante con le valli bergamasche, per esempio le feste più importanti dei bergamini erano quelle di S.Giorgio e S.Michele, ossia i due momenti della primavera e dell’autunno quando si respirava aria di trasloco, cioè la transumanza dalla Bassa agli Alpeggi e viceversa.

Sarebbe interessante che queste brevi note potessero far emergere nuovi contributi e testimonianze  per ulteriori conoscenze.

Nota bibliografica essenziale

A. Stueckelberg,S. Lucio (S. Uguzo). Il Patrono degli Alpigiani, in “Monitore Officiale della Diocesi di Lugano”, Lugano 1912

San Lucio. Un santuario, un  valico, Associazione Amici di Cavargna, 1975

  1. Gatti,Abbazia benedettina di S. Pietro al Monte Pedale sopra Civate, Milano, 1980.
  2. Cazzani, Val Cavargna. Storia di una terra povera e dimenticata, Saronno, 1981
  3. Virgilio,La basilica di San Pietro al Monte a Civate, Missaglia 2000.

San Lucio di CavargnaIl Santo, la chiesa, il culto, l’iconografia, Associazione Amici di Cavargna, Besana in Brianza 2000.

VAL CAVARGNA: la memoria delle tradizioni- Associazione “Amici di Cavargna”, 2006

Fonte: www.ruralpini.it