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Quando i treni trasportavano la Mozzarella di Bufala artigianale fresca, fresca

Oggi la Mozzarella di bufala è entrata prepotentemente sulla tavola di tutta Europa ed oltre, grazie alle nuove attrezzature ed alle tecnologie innovative delle grandi industrie, ma anche ai nuovi metodi di confezionamento:” buste di cellophane, polistiroli, vaschette di plastica, secchielli, atmosfera modificata ecc.   Da qualche anno si stanno modificando queste confezioni per cercare di ridurre la plastica e rendere anche gli imballaggi eco-sostenibili.


Foto © Eleonora Baldwin – riproduzione vietata

Ma come si vendeva la mozzarella di bufala nei primi anni del dopoguerra (dal 1950 al 1980)? Come si trasportava, ad esempio, da Battipaglia a Roma o addirittura a Milano?
L’unico mezzo di trasporto valido era il treno delle Ferrovie dello Stato che è stato utilizzato con successo fino ai primi anni Ottanta. Il treno consentiva di raggiungere in tempi relativamente brevi, massimo 24 ore, tutta Italia, isole comprese. Le confezioni di mozzarella di bufala arrivavano a destinazione in tutte le stazioni, sia piccole che grandi.  I treni viaggiavano di notte, anche di domenica ed in 12 ore arrivavano a Milano o Torino, oppure a Reggio Calabria, ed arrivavano senza l’ausilio di vagoni frigo, ma solo con del ghiaccio aggiunto solo nel periodo estivo. “Mai”, e sottolineo “Mai” un problema di ordine igienico sanitario.

Altro aspetto importantissimo per i caseificatori era la vendita “contrassegno”.  Il cliente per poter ritirare le mozzarelle di bufala alla stazione di arrivo, doveva pagare altrimenti non potevano ritirare il prodotto.  Nel ventennio che va dagli inizi del 1960 agli inizi del 1980 dalla stazione di Battipaglia partivano, giornalmente quintali e quintali di mozzarella per tutta l’Italia. Ricordo che i vagoni adibiti al trasporto delle mozzarelle erano generalmente gli ultimi del treno, spesso si trattava di treni espresso che perdevano qualche minuto perché i vagoni venivano riempiti a mano dal personale delle Ferrovie dello stato, nessuno si lamentava del leggero ritardo, c’era sempre qualche mozzarella disponibile per tutti.


Foto © Eleonora Baldwin – riproduzione vietata

Improvvisamente, alla fine degli anni 80, il Ministero della Sanità decise, UNILATERALMENTE, di vietare il trasporto delle mozzarelle con il treno perché trattasi di un prodotto deperibile che necessitava di trasporto a temperatura refrigerata. Come detto innanzi, le mozzarelle di bufala arrivava a destinazione sempre buonissime, mai un problema.
Addio al treno, appaiono i piccoli corrieri e scompaiono tanti caseifici.  I corrieri cominciarono i trasporti senza alcuna refrigerazione, pratica che, a volte continua anche ai giorni nostri.
Da un giorno ad un altro i clienti sparsi in tutta Italia, in particolare le piccole salumerie, le piccole gastronomie che ricevevano le mozzarelle di bufala fino a tre giorni la settimana videro svanire i loro approvvigionamenti ed una fetta di mercato legato ai piccoli produttori artigianali si dissolse come una bolla di sapone.
A questo punto la grande distribuzione, le grandi catene di supermercati che hanno consentito la vendita della mozzarella di bufala in ogni angolo d’Europa, ha avuto gioco facile, tenendo però i prezzi molto bassi e cominciarono ad inondare il mercato con i loro prodotti a lunga conservazione e la massaia non trovando altro, cominciò a comprare questi prodotti.
Agli inizi degli anni 50, le provole e le mozzarelle del peso di circa 1 chilogrammo venivano confezionate in ceste di legno in mezzo a paglia di grano, senza liquido di governo , mentre le pezzature più piccole si mettevano in “lattine”, sorta di cubi di latta con coperchio della capacità di circa 10 litri dove trovavano posto 5 o 7 kg di mozzarella  e 3 o 5 litri di liquido di governo.
A volte si utilizzavano le anfore di creta dove le piccole mozzarelle o bocconcini erano immerse in liquido di governo o panna, la bocca dell’anfora veniva chiusa con foglie verdi ed elastiche.

Sempre in quell’epoca le mozzarelle si confezionavano anche nei” mazzi”.  Si prendevano delle foglie di erbe palustri simili alle foglie del mais, denominate “gogliore” e si legavano 5 o 6 per una punta e si mettevano tre o quattro mozzarelle, dipendeva dalla lunghezza delle foglie, poi si ripiegavano le foglie attorno ai formaggi e si legava la estremità  opposta, come una caramella.


Per i brevi trasporti i clienti, che si recavano presso il caseificio, portavano da casa una pentola di cucina con il coperchio, dove il casaro metteva le mozzarelle ed il liquido di governo.       

 

Negli anni ottanta ci fu un piccolo produttore della Piana del Sele, Vincenzo Citro di Battipaglia, che rivoluzionò il mercato della mozzarella di bufala, iniziando a Produrre il Mascarpone di Bufala e lo Stracchino di Bufala che vinsero numerosi riconoscimenti alle mostre internazionali a cui parteciparono, come la prima edizione del 1988 del World Cheese Awards tenuto a Londra presso La London Food Exhibition e poi inventò “I bocconcini alla panna in anfora”.

I bocconcini alla panna in anfora erano una vera e propria leccornia, costituita da piccolissimi bocconcini di mozzarella di bufala immersi in panna di latte di bufala, il tutto affogato in anforette di creta smaltate all’interno; in frigo si potevano conservare per 20 – 30 giorni, un sogno per quell’epoca. Inoltre, la creta manteneva costante la temperatura, durante il trasporto, e le anforette di bocconcini alla panna potevano stare fuori dal frigorifero fino a 24 ore.

Questa specialità gastronomica è praticamente scomparsa alla fine degli anni 90, con la chiusura dello Storico caseificio di Battipaglia.  Oggi, a volte, si trovano in commercio “volgari” imitazioni prodotte con panne bovine del commercio o addirittura panne vegetali a lunga conservazione.

Con l’auspicio che questi ricordi di ragazzino, ormai lontani nella nebbia della memoria, vengano presi a modello e non si perseveri in quegli errori che sono davanti agli occhi di tutti, errori capaci di mettere in ginocchio una microeconomia che consentiva una dignitosa esistenza a contadini, allevatori casari che costituivano la spina dorsale dell’economia del territorio che tanti paesi ci hanno invidiato, che i nostri governanti sono stati, quasi, capaci di far sparire.


Foto © Eleonora Baldwin – riproduzione vietata

 

Testo scritto da Angelo Citro 

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